La discussione tra i governi inglesi e statunitensi sulle condizioni da imporre all’Italia tennero occupati i rispettivi ministri degli esteri per lungo tempo. Gli USA furono fin da subito favorevoli ad imporre una resa non puntiva nei confronti dell’Italia. Tra le motivazioni l’assenza di interessi diretti nella zona se non l’assicurazione che l’Italia facesse comunque parte del blocco occidentale oltre alla presenza della lobby italiana che proprio in quegli anni stava rapidamente acquisendo spazi importanti nella politica americana. La Gran Bretagna guidata da Churchill con Anthony Eden ministro degli esteri era particolarmente interessata al dominio nel mare Mediterraneo e puntava a un pesante depotenziamento italiano; in quest’ottica propose nel corso del 1942 una serie di condizioni capestro qualora l’Italia avesse tentato la via della resa e più in generale un atteggiamente duro e punitivo verso l’Italia fascista.
Dopo la caduta del fascismo il 25 luglio del 1943 il confronto tra Roosvelt e Churchill si fece più intenso poiché con il governo Badoglio la possibilità di giungere ad una resa italiana crebbe enormemente. Alla fine prevalse l’impostazione inglese con la redazione di un accordo di pace assai duro che lasciava spazio ad un ammordibimento solmente nel caso di utile partecipazione militare italiana alla causa Alleata. Fu la soluzione di compromesso che trovava un equilibrio dopo lunghi mesi di memorandum sull’argomento tra le due diplomazie. Su una cosa gli USA furono chiari fin da subito: la monarchia italiana avrebbe dovuto lasciare spazio – per la forma di Stato – a una libera autodeterminazione del popolo italiano mentre Churchill spinse sempre a favore della permanenza dei Savoia a capo dello Stato.
Prevalse la determinazione USA e fu chiaro già dall’occupazione di Roma nel giugno del 1944 che per la monarchia dei Savoia i mesi erano davvero contati.